L’educazione, arma della pace secondo Maria Montessori
Data: 01/04/08
Ricordate i biglietti da mille lire? Alcuni di voi si saranno premuniti conservandone almeno un esemplare, altri invece non si accorgeranno mai che laggiù, nel fondo della tasca di una vecchia giacca oramai lisa, c’è ancora una di quelle banconote dai colori tanto vivaci.
Ricordate cosa raffiguravano? Sono sicuro che focalizzerete senza difficoltà l’immagine di una signora dall’espressione decisa e rassicurante: Maria Montessori. Dietro di lei si vedono due bambini molto concentrati, intenti a scrivere e studiare. Si tratta di bam-bini “lontani”, vestiti con abiti d’inizio ‘900, quando ancora si usavano penna e calamaio. Passato stampato sul passato.
Sono trascorsi cento anni da quegli istanti, da quando, nel 1906, Maria Montessori ricevette l’invito a organizzare una scuola materna per i figli degli operai nel quartiere romano di San Lorenzo: sarebbe stata la svolta della sua vita. Il 1907, infatti, vide la nascita della prima “Casa dei Bambini”, esperimento che sarebbe stato presto imitato in tutto il mondo. È per celebrare tale ricorrenza che sabato 27 gennaio, nella suggestiva cornice di Villa Gallia in Como, si è tenuto un convegno dal titolo “Cento di MATTEO POZZOLI.
L’educazione, arma della pace secondo Maria Montessorianni di Casa dei Bambini: da via dei Marsi – 1907 ad oggi”. L’evento è stato promosso ed organizzato dall’Associazione Scuola Montessori e dall’Asso-ciazione Ex Alunni e Genitori della Scuola Montessori di Como, forti del patrocinio dell’Assessorato all’Istruzione della Provincia di Como e della collaborazione del Club Unesco Como.
La serata si è sviluppata at-traverso l’introduzione della professoressa Doretta Monti, Direttrice della Scuola Montessori di Como, seguita dagli interventi di Eugenio Gandolfi, Presidente dell’Associazione Ex Alunni e Genitori della Scuola Montessori di Como, di Michele Pierpaoli, Presiden-te dell’Associazione Scuola Montessori di Como, e del dott. Francesco Giancola, Presidente del Club Unesco Como. La scena è stata poi impegnata dalla prof.ssa Costanza Butta-fava, già direttrice della Scuola Montessori di Como e attuale responsabile pedagogica della Scuola Primaria di Varese, nonché formatrice e Vice Presidente della Cooperativa Percorsi per Crescere. Ascoltandola si ha l’impres-sione di trovarsi di fronte ad una personalità temprata dall’esperienza, forte di una pratica maturata attraverso Cattualitàil contatto quotidiano con i bambini. La professoressa si infervora parlando dei principi montessoriani, della necessità di organizzare l’istituzione educativa secondo un metodo scientifico. Ricorda a più riprese che i fanciulli, per giungere alle forme analitiche del pen-siero astratto, devono passare dalla percezione sensibile: di qui l’importanza del celebre “materiale”, cioè i solidi e gli oggetti utilizzati per stimolare i sensi dei piccoli studenti. La Buttafava cerca poi di chiarire la dimensione sociale del pensiero montessoriano, sempre orientato alla tutela dell’interesse collettivo supre-mo: la pace. Infatti, essendo un medico esperto di filosofia e antropologia, Maria Montessori pone incessantemente il problema della finalità dell’educazione, vale a dire lo sviluppo del bambino inteso come entità libera dalla quale si formeranno l’uomo e il cittadino di domani.
«Il bambino – scrive la dottoressa in una delle sue lettere – è un “cittadino dimenticato”, e tuttavia, se gli statisti e gli educatori realizzassero la terrificante forza che risiede nell’infanzia per operare il bene o il male, penso gli riserverebbero la priorità sopra ogni altra cosa. Tutti i problemi dell’umanità dipendono dall’uomo; se l’uomo è trascurato nel suo sviluppo, i problemi non saranno mai risolti». L’educazione, quindi, non è un fine di per sé; la scuola va piuttosto considerata come un mezzo per sostenere la crescita del bambino in un ambiente caratterizzato dal rispetto reciproco.
È pertanto sbagliato alzare continuamente la voce col fanciullo; è invece necessario assecondare la sua voglia di apprendere e il suo istinto d’indipendenza, prestando la dovuta atten-zione a quella richiesta che oramai ha assunto le vesti di un vero e proprio motto: «Aiutami a fare da solo». Come sottolineato dal celebre scrittore Aldous Huxley (fratello di Sir Julian Sorell Huxley, primo Direttore Generale dell’Unesco), l’istruzione dev’essere sempre improntata al rispetto delle diversità individuali, perché l’uniformità, la disciplina ferrea e l’obbedienza servile nei confronti degli insegnanti, corrono il rischio di generare una mentalità di stampo militare, che trova spesso espressione nella violenza. Non è un caso che, come ha ricordato la prof.ssa Buttafava, le scuole che seguivano il metodo Montessori furono chiuse dal regime nazista nel 1935 e in Italia l’anno seguente: miravano, infatti, a fornire un’educazione rivolta alla pace e alla tolleranza. A questo riguardo è celebre una battuta della “dottoressa di Chiaravalle”, che un giorno disse: «Compito dei politici è difendere la pace, compito degli insegnanti è costruirla».
La conclusione si posa là dove Maria Montessori ha iniziato, quando, neolaureata in medicina, trascorreva lunghissime giornate con i suoi piccoli portatori di handicap affetti da turbe mentali. Riusciva a stimolarli, a riportarli alla vita. Alcuni per poco tempo, altri tanto da rendere possibile che superassero gli esami di terza elementare. «Dottoressa, com’è riuscita a realizzare un miracolo simile?», gli chiedevano i giornalisti di allora. La sua risposta era durissima: «Domandatevi piuttosto come sia possibile che dei bambini normali siano al livello dei miei ragazzi malati!».
In questa severa replica c’è tutta Maria Montessori: la sua decisione, il suo entusiasmo, il forte desiderio di accendere presto e una volta per tutte l’intelletto